Riporto questo articolo per dovere di cronaca, astenendomi dal commentarlo, nonostante alcune delle informazioni riportate siano inesatte, anche sul piano scientifico, mentre altre sono offensive e lesive nei confronti dell'Associazione "Tegnue di Chioggia" - onlus che presiedo. Tengo solo a precisare che il tentativo di record del numero di subacquei in immersione, qui riportato come una possibile minaccia all'integrità dei fondali, è stato fin dall'inizio pianificato al di fuori della zona di tutela biologica, in prossimità della spiaggia. Chi volesse approfondire aspetti scientifici e culturali potrà proseguire nell'esplorazione di questo sito internet e quello dell'Associazione www.tengue.it .

Lascio al lettore il compito di valutare i contenuti, senza per questo nulla togliere al rispetto dovuto alle persone e alla libertà di stampa.

Mercoledì, 22 Marzo 2006

 

1988 missione Polo Sud

 

Antonio Stefanon è nato a Udine nel 1933. Laurea in geologia ha lavorato al Cnr di Venezia, insegnato alle università di Urbino e Venezia, avviato attività di collaborazione con l'Unesco per ricerche sulle risorse oceaniche. Ha partecipato alla terza spedizione italiana in Antartide nel 1988 dove ha operato - per le sue competenze di oceanografia - per analisi sul fondale marino con strumenti di sua progettazione.

 

Lettura del sottosuolo

 

Si chiama Side Scan Sonar ed è uno strumento di altissime capacità di analisi del fondale marino. Un suono viene lanciato verso un ostacolo e - rimbalzando sullo strumento - dà forma all'oggetto colpito. Poche persone al mondo sanno leggere bene il Side Scan Sonar. Stefanon ha lavorato per valutare la frana di Ancona (1981) leggendo il sottosuolo fino a 70 metri. Tra l'altro ha scoperto una "dorsale" nel centro del lago di Garda.

 

 

«Le tegnùe, create dal metano in fondo al mare»

La storia di Angi Stefanon, che 40 anni fa trovò al largo di Chioggia le misteriose rocce che rompevano le reti. «Posto bello come pochi»

di ADRIANO FAVARO

Questa è la storia di una delle più appassionanti "scoperte" scientifiche mai fatte nell'Adriatico. Quarant'anni fa, nel maggio del 1966 due giovani studiosi, Antonio Stefanon e il dottor Michele Dacampo appassionati subacquei trovano dei sassi sul fondo. Stefanon è geologo e i suoi libri dell'università dicono che lì non dovrebbero esserci sassi. Ma "Angi", così lo chiamano gli amici, è testardo. Giro mezza mondo alla fine capisce, per primo, come sono nate le "tegnùe", formazioni rocciose note da tempo ai pescatori perché rompevano le reti proprio in quei luoghi, dove peraltro c'è sempre stato moltissimo pesce. Lo scriveva nella seconda metà del Settecento anche l'abate Olivi, naturalista, illuminista, grande conoscitore della laguna e del mare.

Stefanon come comincia la storia?

«Ero tornato dagli Usa, dopo una borsa di studio Nato».

Cosa ha raccolto?

«Prima di tutto storie e leggende: Grado, Carole, Chioggia e anche Malamocco sommerse. A Grado avevo cominciato negli anni '40 ad andare sotto acqua, con una maschera da bambino che mi ero costruito io».

Bella?

«Un pezzo di camera d'aria, un vetro tondo, tutto tenuto con un elastico. Scendevo fino a tre metri e mezzo».

E da grande?

«Ho avuto 7-8 otiti con perforazioni del timpano e sempre grossi problemi di compensazioni. Ma la fortuna di avere docenti, anche d'università eccezionali. La mia tesi l'ho fatta sotto acqua...».

Grazie a...

«Floriano Calvino, il fratello di Italo, che mi confessa che a Ventimiglia c'era una sorgente d'acqua calda sul fondo del mare. Studiavo all'Università di Padova».

Allora lei?

«Parto con moto, pinne e maschera. A Genova trovo il vecchio Cressi che mi presta l'apparecchiatura ma prima mi obbliga a fare lezioni di sub da Duilio Nascante. Imparo in pochi giorni e trovo un marinaio che sa dov'è la sorgente: a 30 metri sotto mi dice. Tentando di scendere ho preso il mio primo grande spavento per colpa di uno sternuto. Ma l'ho superato».

Fortunato e...

«Diciamo testardo anche perché scopro che ad Albenga c'è un centro sperimentale archeologico sottomarino: alla fine posso utilizzare per una settimana una corvetta della marina militare per esplorazione».

E scopre la sorgente

«Mi aiutano anche i sub dei carabinieri. Vado giù, recupero campioni d'acqua (buonissima). Insomma la troviamo. Pubblico uno studio (il Cnr poi finanzierà una ricerca nazionale sulle sorgenti sottomarine) e in parallelo faccio la tesi col professor D'Ancona».

Col quale lavorerà.

«É lui che mi trova un posto. Nel 1964 sono laureato in scienze biologiche con tesi in giacimenti minerari e sottotesi in petrografia idraulica e rilevamento, e micropaleontologia. Parto per gli Usa ma quando torno D'Ancona è morto. Il nuovo direttore del Cnr, Bruno Battaglia, mi ricorda che sono geologo e che lavoro in un istituto di biologia marina: divento geobiologo. E così trovo il "sasso".

Ma cosa sta dicendo?

«Un sasso, sul fondo, tra Grado e Lignano, dove non dovrebbe esserci: la scienza diceva che geologicamente era impossibile».

Allora?

«Non mi ero posto problemi: mi chiedo solo cosa siano questi sassi con le vongole attaccate. Lo dico ma nessuno o quasi mi bada. Per caso però capito al Cnr tedesco ad un convegno e qualche scienziato mi dice: "è beach rock", roccia di spiaggia tipica dei mari tropicali che si forma solo su quella spiaggia e non a 15 metri sotto il mare. Nel 1967 pubblico 'sta storia. Uno scandalo».

Perché?

«I geologi parlano col mio capo e dicono: non può essere beach rock che è solo roccia tropicale che si trova sulla spiaggia, e questa viene da sotto. Solo un americano, a Montecarlo - dopo che vede le prime foto a colori - mi fa i complimenti per il ritrovamento. Tutti gli altri mi attaccano».

Ma sta nascendo la "scientificità" delle tegnùe..

«Tegnùe, le chiamavano i pescatori o sgrebani, o lastrure, nomi locali. Perfino Battaglia, che non sapeva nuotare viene sotto a vederle... Ma quei sassi, per la scienza ancora, non dovrebbero esserci»

Già, come si sono formati?

«É nel 1971, dopo un soggiorno a Kiel, che conosco uno scienziato che sa usare un "side scan sonar": scendiamo davanti a Chioggia e troviamo rocce e tanta fauna che non dovrebbe esserci».

Con il sonar di profondità cosa fate?

«La prima campagna scientifica in Mediterraneo. Poi un'altra»

Fate una mappa?

«No, perché non volevo che i subacquei andassero a far disastri...»

Come si sono formate le lastre che lei ha trovato»?

«Mica facile. Qui l'idea delle beach rock stonava: dovevano essere forse vecchie spiagge fossili, ma anche questo non combaciava con le profondità e le conoscenze del paleosuolo. Bisognava risolvere un problema: cos'erano queste lastre con crescite enormi di roccia organogena nota in Mediterraneo come "coralligeno di piattaforma"? E c'erano blocchi anche di forma colonnare; sotto acqua li identificavi con i "funghi"».

Nessuna spiegazione allora?

«Pareva. Ma col passare degli anni (siamo a fine '70, inizi '80) ho cominciato a trovare fori che "filtrano" tra la sabbia e vedo bolle. Ho uno strumento che mi permette di vedere il sottofondo. Usiamo anche un ecografo a penetrazione di fondo. Una cosa avanzatissima per l'epoca».

E capisce che...

«Dal fondo del mare esce gas, metano. Ma il gas con l'ecografo può dare immagini fantasma. Le chiamo proprio così, strati fantasma: Presento tutto a La Spezia e non mi sbranano. Intanto nel mare del Nord scoprono le pop marks. Sotto i giacimenti di gas scoprono sassi "formati" dal metano».

Chi si interessa a queste scoperte?

«Negli anni Settanta presento i miei studi a Bologna, ne parlo con l'Agip. Mostro un pezzettino di roccia grigia e nero, faccio una pubblicazione a Venezia e lancio l'ipotesi che siano sassi "fatti anche dal metano". Tutti ci ridono sopra. Ma un bravo idrogeologo, Zuppi li analizza. Quei sedimenti sono stati cementati dal metano: è il 2002.

Come funziona la faccenda?

«Il metano ha formula CH4, carbonio e idrogeno. Avviene un lento e difficile processo di ossigenazione. Ancora non si sa se c'entrano anche i batteri; e il composto si scinde in carbonio e acqua e quindi carbonato di calcio, cioè roccia.

Facile...

«Ma io ho trovato nel fondo colonne di questa formazione; e per 40 anni mi hanno turbato i sogni. Ho trovato una torre alta sei metri, larga come una stanza: da brividi. Una lastra cementata assieme all'altra: un incubo notturno per uno scienziato che conosce il liscio Adriatico. Ma per il resto le tegnùe sono un paradiso. Che abbiamo "scoperto" in fondo al mare, dove doveva esserci solo sabbia».

 

LA PROTESTA

600 sub per il guinness: non si faccia

 

(a.f.) É uno tollerante, Stefanon. Ma non avrebbe piacere che centinaia di sub si lanciassero tutti nello stesso giorno per un record che avrebbe forse solo sapore di reclame turistica. «Non trovo buona quest'idea lanciata da chi, con un'Onlus, gestisce le "tegnue" - sostiene lo scienziato che vive a Mestre - Mi spiego. In quell'area "zona marina protetta" sono state messe boe per evitare che gente si ancori sul fondo: Ma le formazioni delle "tegnue" non sono delicate come i coralli, un'ancora non fa quasi niente. Mentre dubito della scelta che è stata fatta ponendo sul fondo delle cime per facilitare i percorsi ai sub che visitano questa zona che è molto simile ad un'area tropicale. Quello che si sta tentando di fare è assurdo - critica Stefanon - Si vuole battere il record ed entrare nel guinness dei primati per l'immersione più numerosa per portare sul fono oltre 500 persone. Qui ci sono solo gli interessi turistici, non certo scientifici».

Lo scopritore delle tegnue aveva criticato anche recenti azioni di cosiddetta "pulitura" del mare, compiute in epoche che avrebbero creato problemi al sistema ecologico riproduttivo. «Sulle tegnue ormai - continua il docente universitario - si sta facendo di tutto. Come alcuni giornali specializzati che hanno pubblicato foto decisamente sbagliate. Così si leggono articoli e si vedono foto di murene con enormi colori. Dico questo perché a Chioggia fare foto è tanto difficile: le acque lì sono "schifose", c'è molto plancton. Ho seri dubbi che quelle foto sinoa state scattate lì anche perché in Alto Adriatico nessuno ha mai visto una murena. E questo - continua mostrando la rivista - è un grongo? Mi sembra uno tropicale, perché in Mediterraneo esiste quasi esclusivamente un solo tipo di grongo».

Per Stefanon il problema vero è che ormai «è che assurdo fare le zone protette perché si può fare qualcosa davvero solo con un'autorità che impone a tutti, pescatori compresi, regole. Altrimenti occorre mettersi d'accordo»

La sua soluzione? Io propongo che si faccia lì una zona di "tutela biologica". Cambia tutto se si fa questo. Il ministero dell'Ambiente crea le aree marine protette mentre il ministero dell'Agricoltura foreste e pesca crea le zone di tutela biologica. Queste zone sono ordinate dalla comunità europea nei compartimenti marittimi. La legge dice - spiega il docente - che ogni compartimento marittimo deve avere una o più zone di tutela biologica per ripopolamento naturale. Trovo più logico questa etichetta perché la grande verità è che le tegnue sono un'oasi naturale di ripopolamento effettivo».

Stefanon, per sorreggere il suo proposito, mostra anche foto del luogo: «Tutti questi puntini - spiega - sono avanotti. Nuvole di avanotti nelle stagioni giuste. Vuol dire che qui il pesce si riproduce bene. Il mio progetto è - intanto - fare nella zona davanti al Cavallino una zona di tutela biologica dove mettere sul fondo dei manufatti per favorire la deposizione delle uova, specialmente di seppie e calamari. Del resto - conclude - non possiamo vietare il turismo subacqueo; ma va regolamentato bene. Fortunatamente esiste in Adriatico l'associazione "diving", (Assodiving) che è in grado di portare, in sicurezza e nel rispetto ambientale i sub

 

Nel sito web lanciata la proposta di battere un record mondiale l’11 giugno

Una Onlus gestisce il mare

 

L'Onlus che gestisce le tegnue ha lanciato la sua proposta per la giornata delle "Tegnue di Chioggia" l'11 giugno. «Abbiamo deciso di dedicare una giornata di immersioni alle Tegnue di Chioggia lanciando una ambiziosa sfida: il Guinness World Records - si legge nel sito dell'Organizzazione - Attualmente il record del maggior numero di subacquei in immersione contemporaneamente è detenuto da un Diving del Durban con 592 persone; noi vogliamo superare questo traguardo. Nella Pulizia dei fondali del 2003 abbiamo avuto più di 300 presenze, oltre 400 richieste di imbarco nel 2005. Ora contando sui sedici Clubs che hanno aderito all'iniziativa di dare il loro nome alle boe di attracco nella Zona di Tutela Biologica delle Tegnue, contiamo più di duemila subacquei».

«Figurare nei Guinness dei primati con il gruppo più numeroso di subacquei in immersione contemporaneamente - continua la proposta - è un risultato possibile. Si è già provveduto a fare regolare richiesta di record e siamo in attesa di ricevere la documentazione in merito. Il libro Guinness world records è venduto in cento milioni di copie, distribuito in cento paesi e tradotto in trentasette lingue».

La sezione didattica dell'"Associazione tegnue di Chioggia" è formata da biologi e naturalisti che lavorano presso enti di ricerca. L'obiettivo posto in partenza è stato quello di divulgare la conoscenza dell'ambiente "tegnue" alla società: scuole, club subacquei, cittadinanza, turisti, ecc. Il team si è organizzato per preparare seminari/lezioni con supporti informatici in Power Point per diversi livelli di difficoltà e approfondimento, studiati appositamente per le varie tipologie di utenze.

Per divulgare tale peculiarità dell'ambiente lo scorso anno sono state incontrate diverse scuole della regione Veneto, gli albergatori e la cittadinanza locale e turistica di Chioggia. Per l'occasione sono stati proiettati anche i filmati DVD prodotti dall'Associazione. Per il prossimo futuro sono state preparate due tipologie di progetto per le scuole.

 

Nonostante gli studi e le ricerche finora fatte il fondale dell’Adriatico in quel punto al largo resta ancora semisconosciuto

«È un laboratorio: 315 specie mai registrate prima»

 

«Quel fondo del mare lo stiamo capendo solo adesso. Bisogna studiarlo di più. Oltre ad essere una meraviglia per la quantità di specie di flora e fauna lo è anche per il complesso fenomeno ambientale e biologico». Stefanon - che lo scorso anno è stato il conduttore di una congresso internazionale tenuto al Camping Union Lido (Cavallino) in occasione dei 50 anni di attività - spiega che Chioggia sono già state fatte due tesi su due" sassi" diversi «che stanno rivoluzionando la biologia marina. Intanto - spiega lo scienziato - sono state trovate nelle tegnue 315 specie diverse mai segnalate prima, oltre a specie rare e rarissime. Abbiamo ri-trovato,per esempio una "Oloturia bianca", (detta anche cetriolo di mare ndr) che avevo trovato solo negli anni '70 e mai più rivista: è rarissima. É stata fatta l'autopsia: forse si tratta di un esemplare albino. Ma i ritrovamenti in Mediterraneo sono rari e non si sa niente».

Gli studi universitari recenti dicono che la quantità di individui per metro quadrato nelle tegnue vanno da 450 a tremila. Cosa vuol dire? «Queste due tesi hanno dimostrato - spiega Stefanon - che i sistemi di campionatura statistica fatti in tutto il mondo qui non valgono! Da soli questi dati avrebbe dovuto suscitare "scientificamente scandalo": perché così saltano tutti i sistemi di campionamenti finora usati. Per questo credo sia obbligatorio dire che il vero lavoro di ricerca e conoscenza dovrebbe cominciare adesso, dopo le tesi di Sandra Casellato e Stefano Soresi».

L'incanto delle tegnue continua anche attraverso un altro studio, presentato sempre al Cavallino. «J.P. Hermand, un belga ha monitorato il mare con sistemi sonori facendo conoscere meglio la fisiologia della posidonia, la pianta che produce ossigeno, detta il polmone del mediterraneo; ne ha misurato la sintesi clorofilliana per via acustica». Hermand ha fatto anche un rilievo della stratigrafia in laguna per conto di Venezia Nuova: a Marghera è "penetrato" nel fondo a 60 metri con una risoluzione verticale di centimetri, evitando il sondaggio classico. Ma non ha potuto finire quel lavoro.

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